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Viaggio in un mondo di paura e speranza

Viaggio in un mondo di paura e speranza
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VIAGGIO IN UN MONDO DI PAURA E DI SPERANZA IN RIFERIMENTO A IL SEGRETO DI BARHUME E IL RITORNO DI MOHAMED GHONIM

(Wafaa El Beih)

Nei due volumi Il segreto di Barhume e Il ritorno, la prima e l’ultima opera di Ghonim, lo scrittore pare scrivere la storia del cammino universale dell’uomo che cerca di riscattarsi dalla dannazione del male per ritrovare in se stesso il punto bianco, ossia le radici autentiche della felicità e della libertà. Barhume, il protagonista di entrambi i libri, viaggia in cerca del padre, l’uomo giallo, e della sua identità, acquisendo progressivamente la propria umanità, e restando sempre sul confine indeterminato tra sogno e realtà, in modo da lasciare il suo mondo in una dimensione sospesa, che rimane fuori della portata dell’uomo contemporaneo. Solo con l’unione tra sogno e realtà, tra la scienza evoluta del Nord e la spiritualità del Sud si arriva alla verità, che sta altrove, fuori dei limiti del tempo e dello spazio.

Vivere una sola vita,

in una sola città,

in un solo paese,

in un solo universo,

vivere in un solo mondo

è prigione.

Conoscere una sola lingua,

un solo lavoro,

un solo costume,

una sola civiltà,

conoscere una sola logica

è prigione.

Noi dalla chioma color pece,

siamo venuti a ballare nelle vostre piazze luminose,

nelle vostre case.

Siamo venuti a ballare per i vostri occhi

Stanchi e immobili come specchi.

In questo articolo prenderò in considerazione Il segreto di Barhume e Il ritorno, cioè la prima e l’ultima opera di Ghonim, due volumi in cui lo scrittore pare scrivere la storia del cammino universale dell’uomo che cerca di riscattarsi dalla dannazione del male per ritrovare in se stesso il punto bianco, ossia le radici autentiche della felicità e della libertà. Barhume, il protagonista di entrambi i libri, viaggia in cerca del padre, l’uomo giallo, e della sua identità, acquisendo progressivamente la propria umanità, e restando sempre sul confine indeterminato tra sogno e realtà, in modo da lasciare il suo mondo in una dimensione sospesa, che rimane fuori della portata dell’uomo contemporaneo. Solo con l’unione tra sogno e realtà, tra la scienza evoluta del Nord e la spiritualità del Sud si arriva alla verità, che sta altrove, fuori dei limiti del tempo e dello spazio.  Per inquadrare meglio l’opera di Ghonim e coglierne la specificità tematica e stilistica è però importante collocarla sullo sfondo della letteratura dell’emigrazione Arabofona.




Il viaggio di Barhume in cerca delle radici

La posizione particolare di Mohamed Ghonim nel panorama degli scrittori emigrati di origine egiziana è dovuta a quell’impasto unico tra apertura mentale, attaccamento alle radici e coscienza del dramma dell’uomo contemporaneo che soffre la perdita di identità, la schiavitù, e lo sfruttamento. La memoria, per Ghonim, «è tutto; è l’individuo: la sua storia, la sua coscienza», ma si deve portare la nuova generazione a «compiere un percorso di riflessione, ovunque e comunque, nonostante la varietà di lingue, in modo che riesca a migliorare le sue scelte: che non attenda “il sole” in presenza di dense nubi; essa deve cercare il calore attraverso l’intreccio di una trama e di un ordito multietnico che percorra una via migliore».

L’opera narrativa di Ghonim è tutta un viaggio che supera la semplice idea della partenza; i suoi protagonisti, nella loro vana ricerca del miraggio della felicità, meta della loro vita, elevano il racconto ad una dimensione universale: Noi giriamo alla ricerca della felicità. La cerchiamo dentro e fuori di noi, sotto i nostri piedi, quasi fosse il supremo desiderio dell’esistenza, che diventa l’unica meta: oppure se ci avvicinassimo a lei… troveremo solo miraggi. Una trappola preparata e pronta, dietro alla quale, noi corriamo affannosamente. Ma che delusione! Bramare quello stato con inquietudine, ed al fine percepire che è ancora distante. Tale precoce coscienza della vanità del cammino umano pare soffocare le piccole gioie quotidiane, e fa cadere in un abisso di dubbi e incertezze sul domani che racchiude in sé «tutto ciò che ci sembra irraggiungibile», rendendo dominante il senso dell’impotenza umana: In quanto uomo, nel mio “Io” sento che non saremo mai in grado di possedere nulla: magari, saremo pure convinti di possedere queste redini e tutta la tecnologia più avanzata che ci permetterà, forse, di realizzare i nostri obiettivi, e perché no? Non è una cosa vera? Non è vero che possediamo la sapienza? Non è la dimostrazione il fatto che siamo arrivati sulla luna sconfiggendo la forza di gravità e abbiamo raggiunto anche altri traguardi.  Cose nauseanti, solo bugie. Il punto di partenza del viaggio di Barhume è un paese montagnoso, in contatto con il Nord attraverso il grande porto ove le navi fanno scalo per fornirsi di petrolio. Il paese, chiamato Rau solo ne Il ritorno, e rimasto senza determinazioni geografiche o storiche, pare uno spazio universale, sospeso in una dimensione irreale, o meglio iper-reale; porta miticamente tutti i tratti distintivi del Sud, tanto che i suoi abitanti sono pigri, rassegnati, ignoranti e mendicanti: Mi sono sempre chiesto come mai, nonostante l’abbondanza di cui la natura li aveva forniti, sole, acqua, ed estese superfici di terreno, la maggior parte di loro preferisce vivere chiedendo la carità. A nessuno venne mai in mente di frequentare la scuola del Gran Maestro, situata in un bivacco in fondo al porto. Spingevano i fanciulli in carne a cercare la loro fortuna: la ricchezza, infatti, consisteva in quello che riuscivano a racimolare con le loro mani mendicando agli stranieri.

L’ignoranza e la rassegnazione facilitano la missione della magia che semina il terrore nell’anima e nella mente della gente del villaggio. La maga, Zendina, sorta di figura druidica alla ricerca di un erede dell’esoterismo e della magia, desidera dominare il paese, anche dopo la sua morte. L’uccisione di Zendina, e la perdita del suo sogno di prepotenza, non segna un vero mutamento nella vita quotidiana del paese: tutti credono nel suo ritorno e rifiutano l’invito di Agolungo a liberarsi dalla paura preparando così il terreno all’apparire di una nuova maga: Dopo la sua morte, la gente passò davanti ad Agolungo, che come sempre blaterava tutto solitario, denominandolo “idiota”. Lui dal suo canto ribeccò:

– Il fuoco disinfetterà dai microbi…

– Quello è demente… – pensarono di lui.

– Guardate alle vostre coscienze! – replicò

– Stupido! – lo calunniarono.

– Guardate nel vostro cervello! – continuò.

– Sporco! – lo ingiuriarono.

– Pulite la vostra mente e i vostri cuori.

– Vattene lontano da noi! – lo insultarono.

– Rimarrete distratti nei vostri sogni! – affermò ancora Agolungo.

– Tornerà il grande mago! – risposero in coro.

Vittima di Zendina cade pure l’uomo giallo, il ricercatore delle verità scientifiche, e dei segreti più profondi dell’animo umano. Si porta malato all’antro della maga in un rito funebre, e guarito, rimane prigioniero dei rituali magici del Sud e diviene l’ultima occasione per fare prolificare Zizi, la figlia della maga: Lo straniero era lì, non credeva alle sue orecchie… Ma dovette crederci. Si arrese all’evidenza, divenne come un gatto domestico tra le mani della vecchia da fare agire a proprio piacimento. Lo straniero, ormai succube, chiese:

– Vorrei sapere qual è il passo giusto da compiere. Cosa devo fare? Non dimenticherò mai questo favore!

La vecchia non gli diede più retta, capì che grazie alla sua stregoneria egli era sotto il suo completo dominio, allora finse indifferenza e disse con aria annoiata:

– Mi chiedi consiglio? Tutto quello che vuoi! La nave che ti porterà nel tuo viaggio di ritorno verrà spinta dalla forza del vento. Non ti resta che rimanere… Rimani? Il segreto di Barhume presenta diversi personaggi che simboleggiano vari gradi della ricerca di sè: c’è Kaiser, l’ex scrittore ignoto, il marito schiacciato e sdegnato dalla maga, e il padre di una figlia che ha ereditato la sua schiava rassegnazione. È significativo che egli trovi nella propria disperazione il coraggio di riscattarsi, e decida, solo nel momento in cui torna ai suoi scritti, di uccidere la donna che l’ha tanto umiliato: Quello sfogliare gli riportò alla mente ricordi nei quali compariva Zendina con un viso cupo, blasfemo, in ogni foglio dinnanzi a lui… non facendo altro che aumentare il rancore verso di lei… la sua testa fu pervasa da strane idee; cercava un modo qualsiasi per potersi liberare da quell’incubo pesante che lo perseguitava. Diversi fattori lo indussero a decidere di liberarsi di colei che aveva distrutto la sua vita:

«Non c’è ulteriore via di salvezza!» Così sentenziò. In un paese privo di veri eventi, il barbiere diviene, con la sua arte di trasformare dicerie e pettegolezzi in verità ufficiale, una delle figure più importanti. Ghonim, delineando uno dei tratti principali delle società rassegnate del mondo, determina il ruolo di Arsenico nel fare stabilire un sistema di paura e di terrore: Quello “scarafaggio”! Lo usa [Zendina] come spia del villaggio per poter distribuire la sua magia alla gente… conosce di ognuno nome e cognome, sa quali sono le donne gravide, le donne che adorano o disprezzano il proprio marito, chi si sposa, chi si divide, chi sta dalla sua parte e chi no, chi viene colpito da malattia, che è in via di guarigione. Quotidianamente, quello “scarafaggio” di Arsenico si recava dinnanzi a lei per ragguagliarla con le sue informazioni. Entro questo quadro, la morte del barbiere segna l’inizio del crollo della montagna della magia, in quanto si chiude la porta attraverso cui essa domina la vita della gente. Il viaggio di Barhume in cerca della felicità coincide con un altro viaggio interiore che penetra la parte della coscienza densa di significati, di emozioni, e di sentimenti, ossia lo spirito di sapienza, che si personifica, nel regno del silenzio e della rassegnazione, in Agolungo, lo ‘scemo del villaggio’, l’unico che tiene in qualche modo le redini di quella realtà capovolta, dove i ruoli appaiono ribaltati e il potente è il debole, il folle è il sapiente. Lo scemo/sapiente si rivela una delle vittime dell’opinione libera, fugge da una prigione ad altra, nascondendosi fra la gente ignorante, e sacrificando la sua vera identità: La gente è come un gregge, in ogni paese; uno solo comanda e non gli importa se tu ne capisci qualcosa o no, e se non mi fossi messo le vesti dell’idiota sai cosa ne sarebbe stato della mia lingua? Tagliata, ridotta in brandelli insieme al mio collo […]. la vera gente è quella colma di interessi, che fa di tutto per il suo presidente… con le sue mani si impadronisce di tutto e di tutti, saccheggia tutto ciò che gli sta davanti e distrugge anche le menti; non possiamo fare altro che restare sotto alle coperte per parlare – concluse.

Una via diversa prende Barhume nella sua ricerca della verità e della libertà, rinunciando alle illusioni della falsa potenza e credendo solo nel potere del sogno:

«Se un uomo smette di sognare è un uomo morto!».

Sin da fanciullo si spoglia della veste dell’ignoranza e della schiavitù che sceglie di portare la gente della sua terra natia, frequentando la scuola del Gran Maestro, e tenendo un rapporto speciale con lo scemo/filosofo. Inizia il viaggio della ricerca del padre, portando una sua storia incompiuta scritta dal nonno; un viaggio in cui il concetto di patria si allarga universalmente al mondo ed a tutte le relazioni con le persone diverse. Dopo sei giorni in mare, rinasce Barhume, non possedendo più nulla, neanche il nome; i suoi primi passi fuori la terra di Zendina lo portano alla dura scelta tra due mondi, tra il fango e la luce. Incontra l’uomo di fango, il testimone silenzioso dei delitti e degli assassini, che, coperto di viltà e di cattiveria, non può godere la luce della verità e rimane a soffrire uno stato di vita che è proprio morte: Parla, uomo di fango, chi sei? Chi t’ha ridotto in quelle condizioni? Tu, e quel macello di detriti umani? Ti sei forse allontanato dalla luce? E hai perso la strada? La montagna cadde? Parla! Il giro è compiuto? La pianta crebbe? Ti sei trasformato in fango? Fango che copre il viso. Fango lascia intravedere solo occhi e labbra! […] Hai voluto essere testimone del passato e del presente? Ha voluto testimoniare su assassini e assassinati? Sull’oppressore e sull’oppresso? Sull’affamato e su chi è sazio? Uomo di fango, parla!! – urlai.

«L’uomo di fango – afferma Rubbini – è la nostra parte deteriore (sia individuale che sociale), la zona d’ombra in cui alberga il Male con tutto il suo repertorio di violenza, sopraffazione, razzismo, indifferenza». Barhume non abbandona la ricerca della felicità e punta lo sguardo sul punto bianco, il residuo del Bene, nascosto nel profondo dell’anima umana, dispensatore di amore e speranza proprio come la colomba della pace. Il viaggio dell’uomo di Ghonim oltre il mare si compie in un mondo fiabesco che rimane, solo in apparenza, lontano dalla realtà attuale. Nella corte reale si afferma la schiavitù e l’impotenza dell’uomo; Barhume si pietrifica e nessuno riesce a intravedere la sua ricchezza interiore e la sua umanità:

I loro occhi si sono levati verso l’alto, e hanno mormorato:

– È sospeso in aria.

– È una novità!

– No, piuttosto una cosa antica […]

– Strano.

– Prendetelo!

– Verso dove?

– Assassinatelo, bruciatelo, seppellitelo!

– Né questo, né quello… è una cosa di valore!

– Portatelo allo zoo.




La statua umana viene portata al museo ove si libera finalmente dal pensare alle sue faccende e guarda dall’alto la non vita che conduce la gente fuori le mura del museo. Arriva la principessa maestosa e crede di poter possedere la più bella statua nel mondo, ma in realtà rimane incapace di scoprire il vivace spirito umano prigioniero di uno stato di pietrificazione. La bellezza e lo splendore della corte reale non riportano a Barhume la sua umanità, ma acuiscono lo stato di immobilità, segno di schiavitù dei desideri umani: Mi sono guardato nello specchio e ho scorto innumerevoli immagini di me, che riproducevano le diverse fasi della mia vita passata, con tutte le giornate in sé e per sé, con tutti i particolari d’ogni mia situazione. Mi sono sentito come se fossi un re, incoronato della corona reale. La tolgo… ma nella mia interiorità sentivo di tanto in tanto di essere una statua… Ascendo verso l’alto. Torno verso il fango. Solo il dolore per il ‘mondo offeso’ lo libera, e gli restituisce la sua umanità. Rinasce Barhume fra gli ospiti ormai pietrificati: la scena si allarga e si apre ad un mondo di acute contraddizioni, di guerra, di corruzione, di ignoranza, di falsità, e di dittatura: La circonferenza si è allargata, contiene un’altra orbita… mi ha condotto in quel mondo che gira nella sua galassia, combatte contro un raro tipo di routine governata da un’ignoranza radicata. Non sogna, versa acqua ghiacciata sul viso del sogno. Il presidente della direzione amministrativa tiene con una mano un sandwich e l’altra è tesa ricevere accessori cosparsi di polvere nera. Il susseguirsi delle scene dell’Universo vasto si conclude con l’apparire della nonna ringiovanita; finisce il dolore e cadono tutte le catene. Barhume si coinvolge, con tutta la sua profonda umanità, con la damigella, Rosa, accompagnandola in un viaggio di fuga che sembra senza fine: soffrono la perdita di identità e le ingiustizie generate dalla mancanza di comprensione reciproca, attraversano un fiume e provano il dolore per un mondo fatto di divisioni e di guerra: Vedo una nave che lotta contro le onde, senza equipaggio, né timone abitata da folletti che danzano senza corpo. Si levano cervelli appesantiti dall’inquietudine, terrorizzati, tremanti; le loro bocche aperte… solamente aperte… mangiano… digeriscono… scaricano… costruiscono edifici… demoliscono… generano… aumentano le discendenze… si ammalano… invecchiano… sono falciati dalla morte… ci sono fazioni d’affamati con gli occhi aperti, fissi… le loro mani scarne si allungano… tornano vuote… c’è un’altra categoria che produce armi letali, che massacra; spaventa gli altri passeggeri dell’equipaggio, minaccia con la forza. Un uomo dalla grande testa ride. La nave ondeggia. Lo osservano intimoriti; una donna accende la discordia tra gli uomini. La guerra è prossima a scoppiare e temo per la nave. Concluso il viaggio nella terra degli specchi magici e nel mondo delle apparecchiature mediche moderne che riescono a vedere tutto ciò che accade nell’uomo, tanto da svelare addirittura le menzogne, Barhume torna al villaggio natio, che sembra vivere in un’epoca lontana nel tempo, a trovare la guerra, il destino inevitabile della passività e della schiavitù; una guerra atroce che massacra l’umanità, e ruba il lume della felicità dagli occhi dei bambini: Il ragazzino con una voce turbata esclama:

– Non avvicinarti straniero, hanno già portato un altro straniero senza provare alcun senso di pietà per la sua vecchiaia… è ancora lì. La gente del paese va dicendo che a quelli che vengono catturati vengono strappate le unghie e massacrata la loro umanità… Conosci il significato dell’umanità?

– In questo tempo?

– Sì!

– Ma tu lo sai?

– Io sono ancora giovane.

– Cosa succede qui?

– La guerra.

– Chi combatte?

– Non lo sai?

– … e c’è un vincitore?

– Siamo tutti vinti.

Su questa terra ove pare che tutto si rinnovi, domina di nuovo la magia e rinascono le spie. La nuova maga è la donna che si prendeva cura di Barhume bambino, e l’unica che percepiva il dolore di Agolungo. Il passare dalla sponda del Bene a quella del Male sembra colpa della falsità e della ferocia degli uomini: Se tu vuoi condurmi nel mondo degli esseri umani, sono qui, pronta, davanti a te. Portami in qualunque luogo in cui si rispetti l’umanità: anche nel mondo civile, in quel mondo avvolto da un guscio trasparente di falsità dietro cui si nascondono i canini affilati. Vorrei che tu mi indicassi un luogo dove nessuno ponga piede sui resti umani, sul sangue delle vittime. L’incontro con il padre segna per Brahume la fine del viaggio della conoscenza di sé; un viaggio indispensabile perché solo chi conosce se stesso può comprendere il concetto di differenza e apprezzare la diversità culturale. La riunione con il padre «in un unico tessuto» significa il crollo delle barriere che dividono gli uomini e il superamento delle divisioni tra stati, regioni e città, per arrivare a definire un mondo di pace e comprensione, e non solo di guerre e incomunicabilità. La struttura circolare dell’opera narrativa di Ghonim corrisponde ai concetti della ricerca continua della felicità e della libertà e alla visione di un mondo dinamico in cui tutto gira e le varie storie si integrano e non si scontrano: Giri… tutto secondo natura gira. Giri… come i giri della ruota, come il giro della terra intorno al sole. Come il capogiro provocato dall’ebrezza dell’alcool. Giri… come la rotazione delle sfere sui quadranti; in quel modo in cui si avvicinando gli schiavi sotto il potere dei tiranni… Il segreto di Barhume si apre con l’incontro tra l’avvocato portatore dei documenti di una storia incompiuta del protagonista, e il medico che fa di tutto per salvarlo dagli artigli della morte cercando di aprire la sua ‘scatola nera’, e finisce con il ritorno della memoria al padre e al figlio. Ne Il ritorno Barhume intraprende il viaggio in cerca della sua identità; un viaggio in cui pare che la storia del padre si ripeta: I miei piedi si sono bloccati, il ragazzo è entrato furtivamente ed è successo tutto quello che avevo previsto, l’ho sentito sussurrare:

– È arrivato…

Lei non gli ha lasciato concludere la frase, l’ha respinto e gli ha urlato:

– Sparisci dai miei occhi! […]

Un nuovo Kaiser, un altro barbiere, una spia… L’odore della terra natia di Ghonim sembra esalare dalla descrizione del villaggio natio di Barhume, tanto che la figura dello ‘scemo del villaggio’ si rivela tipicamente egiziana: L’uomo tamburellava sui bongòs e ad ogni battito di tamburo esclamava una frase sino a che non si rese conto di trovarsi al centro degli sguardi, sostituendosi alla figura del barbiere. Uno dei presenti, cacciando via una mosca dal naso, disse disinteressato:

– Questo è il filosofo Agolungo!

In Ghonim il lettore arabo avverte sullo sfondo della scrittura il Corano: «Le cose inutili finiscono, se ne vanno come la risacca dalle coste, se ne vanno come tutto, ma quello che è utile per la gente, quello resta eterno in terra», in un gioco di forte intertestualità che non è sempre facilmente coglibile dal lettore straniero. Il lessico dell’autore si colloca poi a un livello stilistico volutamente popolare, tanto che si fa spesso riferimento alla tradizione dei proverbi e dei modi di dire del dialetto egiziano: «Questo giorno è un giorno nero per il paese!», quasi a creare una sorta di complicità con il suo lettore ideale, un egiziano immaginario che si riconosce come lui nelle sue tradizioni.




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