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Ghonim Mohamed

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Recensione “Colombe Raggomitolate”

Recensione “Colombe Raggomitolate”

La lezione dei grandi critici ci lascia intendere quanto sia arduo “auscultare” i versi dei poeti e più difficile.

seguirne i passi.

Il mondo globale della comunicazione ci propone testi di autori che in altri momenti giungevano in ritardo

oppure venivano divulgati dopo la loro scomparsa. Il viaggio avvicina, coinvolge, permette il confronto non

luoghi o genti a noi completamente sconosciuti.

Leggere in italiano versi scritti in lingue diverse all’origini è il dono che Mohamed Ghonim ha riservato ai

suoi lettori nella raccolta Colombe raggomitolate. Una forza nuova della parola assunta a metafora di mille

emozioni riprese dal quotidiano scandire dell’esistenza in mezzo all’originale “paradiso perduto”: l’Eden.

Ha ragione Alessandro Ramberti nella introduzione quando scrive: “solo con l’amore si può rendere bella la

nostra condizione”. La purezza della colomba, utilizzata come sacrificio verso la divinità assisa sulle vicende

terrene è socchiusa nel gomitolo del viaggio verso il divenire. “Raggomitolata” su sé stessa la purezza cerca

la vita attraverso la forza della parola:

“Ti ho spinto a mettere in moto la parola nel tuo capo, ti ho ricondotto verso l’origine.” (p. 13)
In principio era il Verbo, così la Purezza può essere letta nella poesia “Il seno” (p. 51) dove l’accostamento

analogico della parte corporea viene trasposto nel “latte” della conoscenza che generò la Sapienza in

Salomone. Nutrirsi del “nettare dell’amore” per superare le difficoltà che il viaggio e la nuova condizione di

vita impongono. Una fatica degna dei grandi poeti della terra d’origine, l’Egitto, espressa nella raccolta in

modo e con voci diverse:
“(…) Si vergogna

di nascere nella comunità di chi sa leggere

ed ella non legge.” (p. 58)

e ancora

“Quant’è triste nascere dello stesso amalgama

per poi separarsi.” (p. 28)
Tutta la raccolta palpita dei luoghi e delle dimensioni forse sconosciute all’Occidente. Sono: le spade

indiane, i turchesi, la lavanda, la rosa (della purezza), il Nilo, il “Khandra”, la danza fremente, il deserto, il

falco (Horus), la franchezza, il Misericordioso e l’infinità delle forme evocate dal fiume di parole divenute

poesia.

Qual è la posizione del poeta/viaggiatore in questo momento/tempo del suo resoconto poetico?
“Nella vita dei numeri vedo me stesso:

zero.” (p. 44)

La cifra del nulla e del tutto, l’inizio e la fine dell’Essere, presenti nel mondo. Impensabile diviene allora

leggere una sola volta questa raccolta per comprenderla bene. Il fascino del trasporto, la simbologia biblica,

la grande sofferenza del fare versi emergono tutti insieme come anafora del concepimento.

È bello leggere questi versi perché ci dispongono nella condizione di mediare esistenze diverse e simili,

accedere ai segreti di quella civiltà eccezionale che non smette di stupirci e consentono di apprendere

appieno la sofferta eredità dell’Africa dei nostri tempi civili.

Vincenzo D’Alessio

Montoro Inferiore (Gennaio 2005)

ghonim

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